Le scene di follia sono indubbiamente tra i più affascinanti topoi del melodramma ottocentesco, le cui eroine romantiche si librano attraverso un canto puro e lunare, di livello quasi metafisico, fino a raggiungere l'ultima piega emotiva della loro follia. Ma la pazzia, declinata sotto diversi aspetti, ora ironico, ora istrionico, è protagonista di arie

indimenticabili del repertorio operistico dal ‘700 ai giorni nostri. 

Nel nostro recital, vedremo le colorature del soprano accostate alle fioriture del flauto, strumento emblematico nella creazione di atmosfere oniriche e allucinate. Dalla malinconia languida e visionaria di Nina, la pazza per amore, agli strepiti di Rosina, altalenante tra falsa mitezza e pirotecnica stizza, fino agli strepiti vendicativi di una madre ossessiva, la Regina della Notte... E poi Cunegonde, che non smette di piangere e di ridere compulsivamente, e soprattutto la folle operistica per eccellenza: Lucia.

 

Arcangelo Corelli                                  Variazioni su un tema di “Folia” per flauto e pianoforte

 

Giovanni Battista Paisiello                  Nina, o sia la pazza per amore - Nina : “Il mio ben quando verrà”

 

Gioacchino Rossini                              Ouverture del “Barbiere di Siviglia” per flauto e pianoforte

                                                                Rosina : “Una voce poco fa” Il barbiere di Siviglia

 

Pablo de Sarasate                                Fantasia sul “Flauto Magico” di Mozart per flauto e pianoforte

Wolfgang Amadeus Mozart               Regina della notte : “Der Hoelle Rache” Il flauto magico

 

J.B.Singelée                                           Variazioni su un tema di “Lucia di Lammermoor” per flauto e pianoforte

Gaetano Donizetti                               Lucia : “Ardon gl’incensi” Lucia di Lammermoor

 

Leonard Bernstein                              Ouverture del “Candide” per flauto e pianoforte

 

                                                               Cunegonde : “Glitter and be gay” Candide

 

 

 

Francesca Lanza si e' diplomata in canto al Conservatorio “G.Verdi” di Torino. Ha studiato con Renata Scotto e con Shirley Verrett all'Accademia Musicale Chigiana di Siena, ottenendo il diploma di merito e una borsa di studio. Nel 2000 e' stata tra i vincitori del “Concorso Internazionale G.Simionato” di Asti. Presso gli Amici della Musica di Firenze ha frequentato una masterclass di Liederistica tenuto da Elly Ameling. Ha perfezionato il repertorio operistico sotto la guida di Luca Gorla al corso triennale dell'Accademia Internazionale della Musica di Milano.

Ha cantato nel “Cappello di paglia di Firenze” di N.Rota nei Teatri di Pisa, Lucca, Livorno e Mantova. Ha eseguito in forma scenica alcune cantate di G.F.Haendel con la Haendel-Akademie di Karlsruhe. Al Belcanto Festival di Dordrecht (Olanda) ha cantato nel “Matrimonio segreto” di Cimarosa e nel “Convitato di pietra” di V.Righini del quale e' uscita la registrazione per

la Bongiovanni. Ha cantato “Lucia di Lammermoor” al Festival International de Tamaulipas (Messico), la Regina della Notte nel Flauto magico di W.A.Mozart al SemperOper di Dresda, Francoforte, Lubecca, Schwerin, Wiesbaden, Piccolo Regio e Teatro Massimo di Palermo. Si e' esibita in numerosi concerti per gli Amici del Teatro Regio di Torino, la Fondazione Mazzocchi di Palermo, gli Amici della Musica di Catania, la Fondazione Toscanini di Parma. Ha cantato il ruolo di Konstanze ne “Il ratto dal Serraglio “di W.A.Mozart all'Opéra-Théatre di S.Etienne. Ha partecipato all'esecuzione de l'”Amor mugnaio” di G.Nicolini al Teatro Municipale di Piacenza e “Il colore di Cenerentola” di A.Cara al Piccolo Regio di Torino e al Comunale di

Bologna. Ha ricoperto i ruoli di Iride, Verene e una damigella ne “La Didone” di F.Cavalli al Teatro alla Scala con l'Europa Galante diretta da Fabio Biondi. Ha cantato in Rigoletto e ne I Puritani al Korean Opera Festival di Seoul.

 

Stella Barbero nasce a Torino nel 1973 si diploma a soli sedici anni sotto la guida di Arturo Danesin e lo stesso

anno entra nella prestigiosa classe di Maxence Larrieu presso il Conservatorio Superiore di Ginevra dove

ottiene il diploma di Virtuosité. Negli stessi anni vince numerosi concorsi internazionali tra cui due edizione del

concorso Città di Stresa, Sion, Moncalieri e una borsa di studio dell'Accademia Chigiana di Siena che le permette di perfezionarsi con lo storico primo flauto dei Berliner Philarmoniker Aurèle Nicolet. Inizia quindi giovanissima la sua carriera di primo flauto che la porta a collaborare con orchestre e direttori di fama

internazionale. Nel contempo si esibisce come solista in Italia e all'estero, è invitata ad eseguire il concerto in re di Mozart

al prestigioso Tiroler Festspiele di Erl, il quarto concerto Brandeburghese di Bach insieme a Maxence Larrieu, la Suite in si minore di Bach per la stagione concertistica voluta dal M. Nelson a Piticchio, partecipa al concerto di Bocelli di Lajatico per la CBS e ai concerti lirico sinfonici di Luciano Pavarotti. Con la sorella pianista Anna Barbero elabora il progetto "Ornitophonica" che esplora un repertorio e sonorità inerenti al mondo degli uccelli.

Dal 1996 vive nelle Marche dove collabora come primo flauto con l'Orchestra Filarmonica Marchigiana, il Sineforma Ensemble e realizza un lungo sodalizio artistico con l'Orchestra da Camera delle Marche e il Quartetto d'Archi Postacchini, con il quale nel 2014 è chiamata ad inaugurare la Stella Maris, uno degli yacht più evoluti del mondo, nato in Italia, nella splendida cornice del Golfo di Montecarlo.

 

Anna Barbero si diploma in pianoforte con il massimo dei voti e la lode al Conservatorio “G.Verdi” di Torino con

Vera Drenkova, in seguito approfondisce gli studi solistici e cameristici alla Musikhochschule di Luzern con Ivan

Klansky, al Mozarteum di Salisburgo con Karl-Heinz Kämmerling, all’Ecole Normale de Musique “A.Cortot” di Parigi

con Nelson Della Vigne.

È stata vincitrice assoluta di concorsi nazionali e internazionali ( “Città di Stresa”, “Carlo Soliva” di Casale Monf.,

“Coppa Pianisti d’Italia” di Osimo, “F.Schubert” e Concorso Europeo di Moncalieri, etc ) e ha partecipato a

numerosi festival internazionali di musica e di teatro: “Biennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo” a

Torino, Festival di Porto Venere, Paris International Summer Session, SettembreMusica a Torino, TorinoSpiritualità,

Concerti al Quirinale di Radio3, Musica a Piazza Navona a Roma, Festival delle Nazioni di Città di Castello, e

all’estero: Fundaciòn C.Amberes a Madrid, Palazzo Foz a Lisboa, Ateneo di Oporto, Fundaciòn Juan March di

Madrid, Ateneo de Musica di Madrid, Casa Elizalde di Barcellona, Auditorium de Paiporta a Valencia, Dreilinden

Saal a Luzern.

 

 

 

Un testo di Remo Giovanni Carulli 

psicoterapeuta e scrittore

 

 

Pazzia. Una parola dal suono inquietante, non trovate? Evidentemente, anche la fonetica, oltre al senso comune è ingenerosa con lei. Eppure, siamo sicure che la maggior parte di voi non sa nemmeno definirla, la pazzia, mentre invece è bravissima a puntare il dito verso chi ne è posseduto. E sapete perché? Perché la pazzia è effimera, ci attraversa e svanisce, senza farsi mai afferrare: nessuna delle creature di cui narreremo le gesta stasera, così come nessuno di voi, può ambire ad essere pazzo in maniera continuativa, o pensare che la pazzia gli appartenga una volta per tutte. No, purtroppo. Per comprenderlo appieno, basti leggere qualche esplicitazione dei vocabolari. Siete pronti? Pazzia: termine utilizzato comunemente per indicare stati generici di alienazione mentale. Oppure. Pazzia: alterazione delle facoltà intellettuali.

Alienazione… Alterazione…

E’ evidente, per quanto noi siamo delle musiciste e non delle etimologhe, che c’è un richiamo a una condizione non abituale, a un opposizione al flusso ordinario della coscienza, a un altrove. Ebbene, è vero, quell’altrove è il luogo dove arde la nostra stoltezza, germogliano le scelte più insensate, si perde il controllo della razionalità. Ma, pensateci bene, è anche il luogo dove splendono le nostre idee più brillanti. Dove fiorisce ciò che ci contraddistingue rispetto alla monotona e ammorbante normalità. Dove, per lunghi secoli, e forse ancora oggi, si è tentato di confinare la sensibilità femminilità, rispetto al tanto decantato e illusorio raziocinio maschile. Ed è il luogo delle arie d’opera, della più sontuosa, alta, complessa ed emozionante forma d’arte, che non sarebbero state mai nemmeno concepite senza un po’ di pazzia. Per questo abbiamo pensato a questo spettacolo. Non per compiangere queste pazze. Ma per celebrarle.

 

 

 

Giovanni Battista Paisiello - Nina, o sia la pazza per amore

“Il mio ben quando verrà”

NINA:

Il mio ben quando verrà a veder la mesta amica?
Di bei fior s’ammanterà la spiaggia aprica.
Ma nol vedo, e il mio ben, ahimè! Non vien?
Mentre all’aure spiegherà la sua fiamma, i suoi lamenti,
Miti augei v’insegner più dolci accenti.
Ma non l’odo. E chi l’udì? Ah! il mio bene ammutolì.
Tu cui stanca omai già fe’ il mio pianto, eco pietosa,
Ei ritorna e dolce a te chiede, chiede la sposa.
Pian, mi chiama; piano ahimè! No, non mi chiama, oh Dio, non c’è!

 

Nina, per esempio, Nina, la povera Nina! Bistrattata non da fabbri o falegnami in una taverna, assetati di maldicenze e vino, non da una pettegola nobildonna invidiosa della sua avvenenza, o da qualche pretendente rifiutato e dal dente avvelenato, ma dallo stesso autore che ne ha congegnato le avventure. Nina, o sia la pazza per amore… Non cogliete forse un certo sdegno nella definizione con cui l’ha consegnata alla gloria dei secoli?! In ogni caso, Nina è pazza, certo, ma la sua pazzia è fatta di grandioso ardimento: Nina si oppone strenuamente a una realtà nella quale l’uomo che amava era morto; Nina rifiuta anche solo con l'immaginazione, di sposarne il carnefice. Sia benvenuta la pazzia, allora, se la saviezza e il senso di responsabilità appartengono al padre, capace di venderla a un altro uomo per pochi spiccioli… Ma non è nostra intenzione divagare con la mediocrità di quel farabutto. Proviamo, invece, a riflettere di nuovo sul coraggio di cui è intrisa la follia della nostra paladina: le persone pavide, gli uomini soprattutto, nascondono dietro il paravento della razionalità la loro codardia; esse accettano i decreti della sorte, o di Dio, e si inchinano all’evidenza. Non Nina. No. Nina, al contrario, rifiuta ciò che in apparenza è oggettivo, per quanto esso appaia crudelmente incontrovertibile. Non vedete, allora, quale sublime ribellione si celi dietro il suo delirio? Non c’è nulla per cui commiserarla, al contrario, Nina va ammirata come la più indomita delle eroine. Senza dimenticare mai che mentre si dibatteva tra incredulità e disperazione, Lindoro, in effetti, era vivo e vegeto. Perché oltre che pazza, Nina, evidentemente era anche lungimirante per amore.

 

Gioacchino Rossini - Il barbiere di Siviglia

“Una voce poco fa”

ROSINA: Una voce poco fa qui nel cor mi risuonò, 
il mio cor ferito è già, e Lindor fu che il piagò. 

Si, Lindoro mio sarà , lo giurai, la vincerò. 
Il tutor ricuserà, io l'ingegno aguzzerò. 
Alla fin s'accheterà e contenta io resterò... 
Si, Lindoro mio sarà; lo giurai, la vincerà. 
lo sono docile, son rispettosa, sono ubbediente, dolce, amorosa; 
mi lascio reggere, mi fo guidar. 
Ma se mi toccano dov'è il mio debole, sarò una vipera 
e cento trappole prima di cedere farò giocar.

 

Anche Rosina non è che se la passasse già in partenza molto bene. Primo: Siviglia è una città stupenda, certo, ma piena di malintenzionati pronti ad approfittare delle grazie di una fanciulla ingenua. Don Giovanni, del resto, ha vissuto lì, non a Kathmandu. Secondo: avremmo voluto vedere voi, nel fiore della gioventù, quando l’esistenza spande le proprie lusinghe nel profumo delle arance, negli sguardi ardenti dei gitani e nel canto degli usignoli, a vivere con un vecchione brutto, vizioso e pure tirchio. Terzo: persino il suo maestro di musica, e capirete che per noi la musica non è un particolare di poco conto, era uno squallido intrigante. E potremmo andare avanti a lungo con il nostro elenco, sottolineando le privazioni cui ogni donna era sottoposta all’epoca, denunciando la barbarie di dover delegare ad altri le scelte fondamentali per la propria esistenza e tante altre tristi faccende che di sicuro già conoscete. Ebbene, nonostante tutte queste sfortune, Rosina si adegua, docile e rispettosa; non alza mai la voce; fa quello che le dicono di fare; si appresta a diventare quello che è stata destinata a diventare. Vengono i brividi solo a immaginarlo… E allora, poiché il senno è sottomissione indiscriminata, sia benedetto il fatto che a un certo punto Rosina lo perda! Sia benedetto l’amore, la sorgente vitale della pazzia! L’amore paladino della libertà! L’amore che porta con sé l’esaltazione, la combattività, la collerica determinazione! E se non siete d’accordo mettetevi una mano sulla coscienza e riflettete se in una situazione analoga consigliereste a vostra figlia la remissività. No. Non lo fareste. Di sicuro anche voi riconoscete nella romantica insubordinazione di Rosina la vita che inizia a scorrere nelle sue vene. Finalmente. Così, una volta di più, evviva ciò che di meglio una donna possiede: la pazzia.

Wolfgang Amadeus Mozart - Il flauto magico

“Der Hoelle Rache”

 

LA REGINA DELLA NOTTE:
La vendetta dell'inferno ribolle nel mio cuore,
morte e disperazione fiammeggiano intorno a me!
Se tramite te Sarastro non patirà le pene della morte,
non sarai mai più mia figlia.
Ripudiata sii per sempre, abbandonata sii per sempre,
Distrutti siano per sempre tutti i legami della Natura
Se Sarastro non impallidirà a morte tramite te!
Ascoltate, dèi della vendetta, ascoltate il giuramento di una madre!

 

La Regina della Notte ci impone di riflettere con ancor maggior circospezione. Tra tutti gli indimenticabili personaggi femminili che oggi presentiamo è di certo quello che con meno esitazioni siamo indotti a designare come pazzo: ed in effetti, nel forzare la propria figlia a uccidere il proprio rivale, innalzare la smania di potere al di sopra dei legami di sangue, brutalizzare ogni anelito alla morale non è rintracciabile esattamente il comportamento tipico della buona madre di famiglia. Tali atti sono concepibili solo in territori della mente inesplorati dalla maggior parte delle persone, per fortuna. Ma non nell’”Altrove” della pazzia: nell’animo della Regina della Notte, non ci sono né i paesaggi lirici di Nina, né la natura lussureggiante e romantica che trionfa in Rosina, né le bizzarre ed impetuose vedute che contraddistinguono entrambe. Al contrario, i suoi pensieri sono rigorosi, la logica inoppugnabile, il ricorso al calcolo e al sotterfugio espressione della più ferrea furia razionalizzante. No, la Regina della Notte, la più pazza protagonista della storia dell’Opera è priva di ogni barlume di pazzia, perché laddove trionfa la ragione la pazzia non è più pazzia, per quanto esaltata, chiamatela come volete ma non è pazzia. Ed è proprio in tale carenza che si colloca la sua sventura. Laddove trionfano l’intelligenza pura, il rigore metodologico nel raggiungimento dei propri obiettivi, la glaciale imperturbabilità non c’è spazio per la pazzia, perché non c’è spazio prima di tutto per l’amore. Per questo la Regina della Notte fa accapponare la pelle, per questo ci è così estranea. E se la razionalità è ciò che contraddistingue l’uomo, lei è troppo umana per essere umana, troppo umana al punto da essere disumana, troppo umana, appunto, per gli slanci sublimi della pazzia.

Gaetano Donizetti - Lucia di Lammermoor

 “Ardon gl’incensi”       

 

LUCIA:

Il dolce suono mi colpì di sua voce!

Ah, quella voce m'è qui nel cor discesa!

Edgardo! io ti son resa, fuggita io son dai tuoi nemici.

Un gelo me serpeggia nel sen! trema ogni fibra! vacilla il piè!

Presso la fonte meco t'assidi alquanto..

Ohimè, sorge il tremendo fantasma e ne separa!

Qui ricovriamo, Edgardo, a piè dell'ara.

Sparsa è di rose!

Un'armonia celeste, di', non ascolti?

Ah, l'inno suona di nozze! Il rito per noi s'appresta! Oh, me felice!

Oh gioia che si sente, e non si dice!

Ardon gl'incensi! Splendon le sacre faci, splendon intorno!

Ecco il ministro! Porgimi la destra! Oh lieto giorno!

Al fin son tua, al fin sei mio, a me ti dona un Dio.

Ogni piacer più grato, mi fia con te diviso

Del ciel clemente un riso la vita a noi sarà.

 

 

Carissimi, finora abbiamo gigioneggiato con la pazzia, abbiamo addirittura scherzato su di essa, per celebrare l’ardimento delle nostre eroine. Ebbene, l’ultimo personaggio che introdurremo non lo permette più. Lucia ci impone di diventare serie, a dispetto di tutta la nostra goliardia: la sua perdita di senno, infatti, non scaturisce dall’ingiustizia che da sempre affligge le donne, per poi esaurirsi nell’arguzia, nella macchiettistica eccentricità, nell’intelligente e appassionata determinazione. No. La pazzia in Lucia di Lammermoor ha a che fare con l’omicidio, con la morte del marito impostole durante la prima notte di nozze. Tuttavia, non è la pazzia che la porta ad uccidere, a reagire alle drammatiche condizioni che l’arrivismo del fratello o il fato avevano disposto per lei, alla dolcezza del proprio animo, alla speranza in una vita comunque degna di essere vissuta, alla pietà. Sarebbe più facile da accettare, molto più comprensibile anche, ma non è così. Per quanto voi conosciate la storia, bisogna forse essere pazzi per affondare la lama nella carne di un uomo? Al di là che nessuno sa con esattezza cosa succeda in quella stanza nuziale,  la pazzia arriva dopo, e non è altro che il rifugio in cui Lucia si rintana per sfuggire alla consapevolezza di ciò che ha compiuto, l’unico ricovero dove l’orrore non possa insinuarsi, in cui il linguaggio della ragione non abbia traduzione. E così, una volta di più, la nostra eroina viene guardata dall’alto in basso nell’illusione che solo un pazzo possa concepire tanta brutalità. La realtà, invece, è che tutti possono uccidere, ma solo le creature più delicate, forse saremo di parte ma sostanzialmente le donne, perdono il senno dopo averlo fatto; un uomo, in circostanze analoghe, avrebbe cercato di nascondere il proprio delitto. E allora se qualcuno in questa sala vuole proprio compatire Lucia, lo faccia per la sua sensibilità. 

 

 

Leonard Bernstein - Candide

 “Glitter and be gay”

 

CUNEGONDE:

Risplendere ed esser allegra, Questa è la parte che recito...

Sono qui, a Parigi...Francia...Costretta a piegare la mia anima,

A questo sordido ruolo...Resa vittima da circostanze amare...

Ah, povera me! Fossi rimasta al fianco della mia Signora Madre,

La mia virtù sarebbe rimasta intatta,

Finchè la mia vergine mano fosse stata chiesta

Da un qualche Granduca...o altro!

Ah! Non doveva succedere!

La dura necessità mi ha condotto in questa gabbia dorata...

Sono nata per cose più nobili,

Qui non posso spiegare le mie ali,

Mentre canto di un dolore che nulla può alleviare.

Eppure questi ninnoli sono accattivanti...

Sono così felice, il mio zaffiro è a forma di stella...

Gradirei anche un orecchino da venti carati...

Se io non sono pura, almeno lo sono i miei gioielli!

Basta, basta! Prenderò le loro collane di diamanti,

E mostrerò la mia nobile stoffa

Essendo...Gaia e spericolata!

Osservate con che coraggio nascondo la terribile...

...terribile vergogna che sento!

Ah Ah Ah Ah!!!

 

Il fatto che dopo aver assistito al Candide di Bernstein la maggior parte degli spettatori abbandoni il teatro con il sorriso sulle labbra, è un fatto su cui riflettere con grande attenzione. Certo, l’opera è ilare e divertente, ma siamo sicuri che la scompisciata reazione ai travagli dell’anima di Cunegonda non celi qualcos’altro? Di sicuro, la questione non può essere risolta con l’ausilio della psicologia clinica o della psicodiagnostica: secondo i loro dettami, infatti, Cunegonda sarebbe semplicemente un’isterica da manuale, con le classiche e teatrali oscillazioni tra la brama di gioielli e il desiderio opposto di salvaguardare il proprio onore, leggera e poco seria persino nella follia, barcollante com’è tra pianti disperati e risate cristalline. Ma quale superficialità attanaglia tale visione! Come se la vita fosse facile! L’aria di Cunegonda non esprime altro che la forsennata lotta interiore tra due decisioni che l’avrebbero condotta egualmente alla sventura: a morire di fame, optando per la virtù in un caso, a perire di vergogna scegliendo invece i diamanti nell’altro. Ebbene, Cunegonda è pazza perché si rende conto della propria condizione senza uscita; è pazza perché è schiacciata dalla sua chiaroveggenza; è pazza perché non riesce a siglare alcun armistizio con la tragicità dell’esistenza, la stessa che affligge ognuno di noi. In definitiva, si ride della pazzia di Cunegonda per sentirsi diversi da lei, per ignorare che le sue questioni ci appartengano, per illudersi che la felicità sia alla nostra portata, per non riconoscere l'amara verità, cioé che c’è una Cunegonda in ognuno di noi.

(Remo Giovanni Carulli)